QUELLI CHE SAF: IL KIWI GIALLO CONSENTE DI ESSERE IN CONTROTENDENZA

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ALESSANDRO FORNARI, DIRETTORE GENERALE DI JINGOLD, DAL “C’È NESSUNO?” IN FACOLTÀ A UNA POLITICA STRATEGICA ESPANSIVA SU QUOTE E VOLUMI, PASSANDO ANCHE PER LA COMUNICAZIONE “NONSENSE”

Erano gli anni ’90 e l’Ateneo di Bologna muoveva i primi passi nel processo di decentramento dei dipartimenti in Romagna. A Cesena, capitale allora più di oggi dell’ortofrutticoltura italiana, atterrò il corso di Scienze dell’Alimentazione, oggi Scienze e Tecnologie Agroalimentari, della rinomata Facoltà di Agraria dell’Alma Mater. “Ero la matricola 42, quando entravo in facoltà ero praticamente da solo”. Lo dice Alessandro Fornari, romagnolo, dal 2008 Direttore Generale di Jingold, dopo la gavetta come tecnico di campagna presso una coop ortofrutticola romagnola, che già allora faceva kiwi, e l’esperienza, fino al ruolo di country manager, in CMi iternational (oggi NSF), multinazionale inglese per l’erogazione di servizi di certificazione specializzata sul food.

Alessandro, buongiorno, grazie della disponibilità. Oggi sei nella plancia di comando di Jingold, ma la tua estrazione è tecnica prima di tutto?
Sì, certamente. Ho avuto la fortuna di avere un inquadramento scientifico funzionale, metterlo in pratica e poi toccare con mano gli aspetti organizzativi e gestionali. L’esperienza nell’ambito delle certificazioni di qualità mi ha dato modo di apprendere un metodo manageriale da aggiungere alle competenze scientifiche. Poi a seguire tanta formazione continua, la passione nata per il marketing che si è aggiunta a quella umanistica.

Veniamo a noi: quest’anno il maltempo ha toccato anche la produzione di kiwi. Confermi le contrazioni di cui si parla? La tua stima qual è?
Oggi si parla tanto di clima. Diversi anni fa il problema era la PSA. Da tempo credo che il problema principale sia il cambiamento climatico e la PSA rischia di essere solo uno dei tanti effetti. Detto questo, a fronte di uno scenario poco positivo nel complesso, noi andiamo in controtendenza. Lo scorso anno la produzione nazionale di kiwi si è ridotta mentre noi siamo cresciuti del 40%, per la progressiva entrata in produzione di nuovi impianti. Quest’anno probabilmente gli effetti delle gelate tardive conterranno la nostra crescita fisiologica a volume. Il nostro, tuttavia, è un prodotto che garantisce reddito e consente investimenti. Pertanto stimoliamo i nostri produttori a istallare impianti antigrandine e antibrina per una difesa attiva dalle temperature più rigide. Mentre per le colture con redditività molto bassa, purtroppo non sempre è possibile investire in tecnologia per proteggersi. È un problema di sostenibilità economica. Anche per questo credo che il rapporto tra GDO e produzione stia cambiando. Ad esempio qualcuno parla già di carestia, di scarsità di prodotto e in un mercato nel quale la GDO si concentra e investe sempre più in prodotto di alta qualità il problema in futuro potrebbe essere, a seguito di espianti e danni del maltempo, faticare ad avere continuità di fornitura. I produttori devono poter avere un reddito adeguato, affinché sia possibile tornare a investire e a proteggere anche le colture che oggi non coprono i costi. Se invece l’unica leva è il prezzo perdi tutto, innovazione, talenti e visione.

Se si parla di kiwi non si può non parlare di Moria e dei suoi effetti recenti. Guardando i dati italiani di produzione il picco è a 575 mila tons. nel 2015, per poi scendere fino alla doppia botta del 2019 e 2020 con volumi attorno alle 320 mila tons. Da ultimo nel 2021 le gelate primaverili. Questo il quadro generale. Per il futuro cosa ci attende?

Il vero tema è il calo di produttività per ettaro. Due conti per spiegarmi meglio: dal 2015 ad oggi gli ettari impiantati a kiwi in Italia sono cresciuti dell’1%, 24.448 nel 2020 contro i 24.094 di cinque anni prima, mentre il trend produttivo è quello che hai riportato con una perdita del 45%. Motivo? È calata la produttività per ettaronel caso dell’Hayward da 23,9 a 13 tonnellate per ettaro per diverse cause: fattore climatico, malattie come PSA e Moria e, non ultimo, età degli impianti. Nel quinquennio il verde ha perso il 13% degli ettari, mentre il giallo è triplicato tanto che oggi vale il 18% dei volumi rispetto al 5% del 2015. E se non si rinnova non si recupera produttività. I nuovi impianti per esempio possono raggiungere medie pari a 30/35 tons. Ma gli sbalzi climatici non provocano danni solo in termini di maltempo. L’innalzamento delle temperature medie generali ha tolto ore in freddo, fondamentali per le piante per andare a frutto. Le temperature degli inverni miti nella parte meridionale d’Italia rischiano di non essere più sufficienti e la produzione scende. Dubito per questo che a breve si possa tornare sopra le 500 mila tons. e oggi si assiste a un aumento considerevole dei prezzi alla produzione, quindi ci sono le possibilità per investire, anzi ha senso investire.

Si parlava di territori di produzione. In prospettiva dove crescerà la produzione e invece quali regioni caleranno?
Per questa stagione, le regioni del nord sono state maggiormente colpite dalle gelate primaverili, quindi vedo più in difficoltà in Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, mentre le regioni del sud, Calabria e Lazio in primis, sembrano avere contenuto i danni. Per quel che riguarda i Paesi concorrenti del nostro emisfero, anche la Grecia crescerà meno del previsto, sempre per i medesimi problemi climatici che hanno colpito tutta l’Europa.

Kiwi. Categoria presidiata da specialisti uniti da politiche di brand. Perché su questo prodotto è stato possibile?
Per sei mesi l’anno il mercato è in mano al monopolio neozelandese che ha applicato politiche di marketing efficaci con varietà innovative e brevettate. È una condizione che non esiste in un altro mercato. Chi opera in questo settore ha dovuto fare i conti con queste condizioni e ha adottato strategie coerenti. Avevamo un modello e a quello i produttori si sono ispirati, per forza di necessità competitiva. Un club molto integrato, un’unica marca con varietà in esclusiva e primi a integrare la produzione nell’emisfero opposto in contro stagione nei nostri areali. Noi italiani su questo siamo un po’ più in difficoltà. Prima di tutto trovare luoghi adatti nell’ emisfero sud, con terreni e clima idonei e disponibilità sufficiente di acqua per irrigare, non è semplice. Abbiamo avviato proficue collaborazioni produttive delle nostre varietà in Cile e, più recentemente in Argentina, mentre come sappiamo la coltivazione nell’area più vocata, la Nuova Zelanda, ci è preclusa perché non sarebbe poi possibile esportare i prodotti.

Jingold, caso particolare. Il giallo è il core, la crescita è costante e a due cifre da tempo. Quali sono le priorità a breve?
51 milioni di euro di fatturato, di cui 90% in export anche se l’Italia è in crescita, oltre 2.000 ettari piantati, di cui 1.650 piantati in Italia. Poco meno della metà in piena produzione e 550 tra Cile, Portogallo e Argentina. Il primo obiettivo a breve è quello di raggiungere i 2 mila ettari piantati in Italia, dove stiamo cercando di sostenere gli investimenti dei nostri produttori. Questo include il kiwi a polpa rossa Oriental Red, per il quale l’obiettivo sono i 250 ettari entro il 2022.

Quanto è importante il packaging e quali sono le vostre aspettative sulla sostenibilità?
Nel nostro settore la sostenibilità, ad oggi, è spesso associata al marketing, a ciò che il mercato chiede e che si può facilmente comunicare. Seguiamo un trend senza però purtroppo avere precisa compiutezza delle scelte, con risultati specifici e misurabili in termini di reale sostenibilità. Siamo tutti alla ricerca di soluzioni comunicabili e spendibili perché fatichiamo ad avere riscontri certi e incontrovertibili delle scelte che facciamo. Da un lato occorrerebbe più chiarezza e dall’altro più informazione. La riduzione delle plastiche è un trend generalizzato ma non può essere l’unico obiettivo. La nostra priorità è, oltre a brandizzare il prodotto, utilizzare meno materiale di imballaggio possibile, rinnovabile e riciclabile, garantendo comunque massima protezione per evitare perdite di prodotto. In ogni caso l’attenzione dell’opinione pubblica ha stimolato la ricerca e questo è un bene. Speriamo si arrivi a innovazioni che garantiscano impatti ambientali inferiori, certi e misurabili, con altrettanti benefici, e non solo aggravi economici.

La politica di marca è quindi una vostra priorità. Nel tempo come si evolverà la vostra strategia di comunicazione?
I nostri budget in comunicazione crescono tutti gli anni. La parte prevalente è da sempre dedicata a iniziative sui mercati esteri, visto il ruolo importante che ha l’export nel nostro caso, e usiamo sempre di più i social per sostenere le vendite. Ora stiamo iniziando a investire anche sul mercato italiano, specie quello tradizionale, con discreti ritorni. L’idea è di iniziare a breve con attività above the line in Italia e all’estero, ma prima sarà importante crescere di volumi e di quota per avere penetrazioni sul trade coerenti con la comunicazione.

La scelta di partecipare a Spettacoli alla Frutta (SAF) è quindi conseguenza della maggiore attenzione al mercato italiano e a un maggior presidio della comunicazione consumer? Cosa vi ha convinto?
In ortofrutta ci concentriamo tanto sulla comunicazione B2B rischiando talvolta di essere e rimanere autoreferenziali. SAF ci sembra pensato per essere esattamente l’opposto, per uscire dai nostri ambiti tradizionali e, attraverso l’uso del nonsense, consente di uscire fuori dagli schemi. Abbiamo bisogno di innovazione anche in comunicazione e credo che per questo SAF sarà utile. Speriamo che le condizioni ci consentano di farlo come lo abbiamo immaginato.

di Claudio Dall’Agata
Fonte: www.bestack.com

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